Articolo di Diego Ingrassia
Chi legge con attenzione How Emotions Are Made di Lisa Feldman Barrett, ne riconosce subito il carattere provocatorio e il tentativo di ridefinire il paradigma emotivo, spostandolo dal dominio della biologia a quello della costruzione culturale. Si tratta di una proposta originale, ma non priva di errori e di critiche da parte della maggior parte della comunità scientifica.
Numerosi studiosi contestano il fatto che Barrett ignori decenni di studi neuroscientifici, evoluzionistici e interculturali. Le sue tesi sono state scartate per mancanza di rigore empirico, selettività nella citazione delle fonti e assenza di confronto interdisciplinare. Alcuni autori hanno parlato apertamente di una teoria costruita più per stupire che per spiegare realmente il funzionamento delle emozioni umane.
La teoria costruttivista dell’emozione non può essere considerata l’unico modello valido. Esistono approcci fondati su solide basi sperimentali, spesso ignorati dalla Barrett, che meritano di essere conosciuti.
In questo articolo ho deciso di analizzare i cinque punti principali oggetto di dibattito inerenti la sua teoria.
1. ESISTONO BASI BIOLOGICHE ED EVOLUTIVE PER LE EMOZIONI
La Barrett sostiene che le emozioni siano costruzioni cognitive, apprese e modellate dalla cultura. Tuttavia, la neuroscienza affettiva ha identificato strutture cerebrali profonde, comuni a umani e animali, responsabili dell’attivazione emotiva automatica.
Jaak Panksepp ha descritto sistemi innati come SEEKING, FEAR, RAGE e CARE che generano risposte emotive stereotipate, osservabili anche in specie diverse dalla nostra.
Barrett non affronta questi studi, ma li omette del tutto, una lacuna evidenziata da Karolina Westlund come “grave e inspiegabile”.
Fonti:
2. LE ESPRESSIONI EMOTIVE UNIVERSALI NON SI LIMITANO AL VOLTO
Barrett afferma che le emozioni primarie non abbiano un’espressione universale e che il volto umano venga interpretato diversamente da cultura a cultura. Tuttavia, già negli anni ’60, Paul Ekman ha dimostrato che sei emozioni fondamentali (rabbia, disgusto, gioia, sorpresa, paura, tristezza) sono riconosciute universalmente, anche da popolazioni isolate e prive di esposizione mediatica.
Inoltre, Ekman ha sempre sottolineato che le emozioni si manifestano attraverso più canali: espressioni facciali, voce, postura, gesti, attivazione fisiologica e parole. Il coordinamento di questi canali avviene in modo automatico, entro 500 millisecondi, sotto il controllo del sistema limbico e del 7° nervo cranico.
Fonti:
3. LE EMOZIONI SI COMBINANO, MA NON SONO ARBITRARIE
Secondo Barrett, ogni emozione è una costruzione unica, mai ripetibile. Ma la presenza di emozioni complesse, come la gelosia (che può includere tristezza e paura), non nega l’esistenza di emozioni primarie. Al contrario, la conferma.
Le emozioni di base sono come i colori primari della tavolozza emotiva. Il fatto che si combinino non ne cancella l’esistenza, né la loro origine biologica. Questo approccio è sostenuto da modelli come quello circolare di Plutchik e dalle ricerche neuro-comportamentali di Izard.
Fonti:
4. LA CULTURA INFLUENZA L’ESPRESSIONE, NON L’ATTIVAZIONE DELL’EMOZIONE
Barrett attribuisce alla cultura un ruolo fondante nella nascita delle emozioni. La maggior parte degli scienziati è d’accordo nell’affermare che le culture stabiliscono regole di espressione (denominate “display rules”), ma non modificano l’attivazione automatica dell’emozione. Le microespressioni universali, di cui parla Ekman, avvengono prima che la coscienza intervenga.
Ekman ha dimostrato che le reazioni emotive iniziali sfuggono al controllo culturale nei primi istanti dell’attivazione. Questo processo universale è confermato da 50 anni di ricerca negli ambiti forensi, clinici e anche educativi.
Fonti:
Una delle critiche più forti al lavoro della Barrett riguarda la metodologia. Secondo Westlund, Hagioptasia e altri studiosi, Barrett seleziona fonti funzionali alla sua tesi, ignorando studi contrastanti e dati comparativi.
Molti antropologi e psicologi transculturali ritengono che la teoria sia troppo radicata in contesti occidentali e non tenga adeguatamente conto della variabilità universale delle emozioni. In pratica manca di predittività operativa: non fornisce strumenti pratici né testabili in modo sistematico.
Anche l’uso di esempi ambigui, come lo studio sugli Himba della Namibia, viene giudicato poco attendibile. La critica centrale è che Barrett costruisca una teoria affascinante ma chiusa, autoreferenziale, più adatta al palcoscenico editoriale che al laboratorio sperimentale.
Fonti:
Il contributo di Lisa Feldman Barrett ha il merito di rimettere al centro il ruolo del linguaggio e della cultura nelle emozioni. Ma ridurre le emozioni a sole costruzioni cognitive rischia di semplificare eccessivamente una realtà complessa. Le emozioni sono il risultato di una coevoluzione tra cervello, cultura e contesto.
Per comprendere davvero la nostra vita emotiva, serve un approccio integrato. Non possiamo ignorare il contributo di decenni di ricerca, né i modelli validati di Panksepp, Ekman, Scherer, Izard o Plutchik. La vera conoscenza nasce dal confronto tra prospettive, non dall’imposizione di un’unica visione. Solo così possiamo offrire strumenti realmente utili per comprendere e trasformare il nostro mondo emotivo.
Bibliografia di riferimento:
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