NEL SUO DISCORSO DI DIMISSIONI, l’ex premier neozelandese Jacinda Ardern ha dichiarato: “So che cosa serve per fare questo lavoro e so di non avere più abbastanza energie per farlo bene. È semplice”. In poche frasi Ardern ha annunciato le sue dimissioni con 9 mesi di anticipo, narrando una verità complessa con autenticità e coraggio.
Il mondo ha ascoltato e compreso, perché comunicare bene non è solo questione di eloquenza, ma di empatia e trasparenza. In un’epoca satura di informazioni e povera di senso, solo ciò che si trasforma in racconto riesce davvero a imprimersi nella memoria e soprattutto nel cuore delle persone.
È per questo che lo storytelling, da semplice tecnica di comunicazione, sta diventando sempre più una competenza strategica nel bagaglio del leader contemporaneo. Non si tratta di raccontare storie a effetto o di abbellire la realtà, ma di costruire significati condivisi, di connettere visione e azione, di creare un linguaggio capace di ispirare, coinvolgere e motivare. Inoltre, quando un leader racconta con sincerità un momento difficile, un passaggio critico o una sfida personale non sta mostrando una debolezza, ma una forza. Sta dicendo: “È capitato anche a me, ecco cosa ho imparato”. E quella narrazione, se autentica, non ha bisogno di effetti speciali per toccare le corde emotive di chi ascolta. Perché la verità, quando è detta con il cuore, si sente.
Questo non significa che la narrazione debba sostituirsi ai numeri. Al contrario, i numeri restano fondamentali: danno concretezza, misurano i risultati, guidano le scelte. Ma da soli non bastano. I dati parlano, ma solo fino a un certo punto. Senza una storia che li interpreti, che li colleghi a un contesto, a una visione, i dati rimangono inaccessibili.
Pensiamo ai recenti report sulla sostenibilità aziendale (ESG): senza un impianto narrativo che leghi le azioni agli impatti sociali e ambientali quei dati rischiano di restare freddi e autoreferenziali. Il racconto dà profondità, mostra “il perché” dietro al “quanto”. È per questo che in molte imprese lo storytelling sta entrando nei percorsi di formazione manageriale come alleato necessario dei numeri.
Un esempio emblematico è quello di Patagonia, l’azienda outdoor nota per l’impegno ambientale. Quando il fondatore Yvon Chouinard ha annunciato di aver “donato” l’impresa alla Terra, spiegando che i profitti futuri sarebbero stati reinvestiti per combattere la crisi climatica, non ha lanciato una campagna marketing, ha raccontato una scelta radicale con parole semplici, coerenti, potenti.
Quel messaggio “Earth is now our only shareholder” è diventato virale perché ha parlato a tutti, anche fuori dal mondo business. La lezione è chiara: una narrazione ben costruita, ancorata a valori autentici, moltiplica la portata di una decisione. Non solo la rende più comprensibile, ma la trasforma in movimento e ispirazione. Non sorprende che, nei mesi successivi, numerose aziende abbiano iniziato a interrogarsi con maggiore serietà sul proprio purpose, sulla reale coerenza tra ciò che dichiarano e ciò che fanno, tra i valori esposti e le scelte operative.
Perché allora, ancora oggi, i manager faticano a comunicare in modo incisivo? Spesso la causa va ricercata in una cultura aziendale ancora eccessivamente orientata alla trasmissione unidirezionale di informazioni, ma poco attenta alla dimensione relazionale e all’ascolto autentico. I percorsi di formazione più efficaci non si limitano alle tecniche di “public speaking”, attivano un processo di consapevolezza narrativa: qual è la mia voce autentica? Che storie racconto, anche inconsciamente, quando prendo decisioni e comunico un cambiamento? Che tipo di cultura sto generando con il mio modo di narrare?
L’obiettivo non è formare storyteller perfetti, ma leader consapevoli della forza delle parole. Leader capaci di comunicare la visione non con slogan, ma con storie vere, capaci di dare senso al lavoro quotidiano e orientare le persone in un periodo di grandi cambiamenti. Non basta più “fare bene le cose”, bisogna anche saperle raccontare bene. In fondo siamo tutti un po’ come Ulisse: abbiamo bisogno di una rotta e soprattutto di storie che ci aiutino a non perdere noi stessi nel viaggio.
Fonte: Harvard Business Review
Testo di Diego Ingrassia
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