Negli ultimi anni abbiamo visto che si può lavorare benissimo anche da casa. Lo smart working ha salvato aziende e vite quotidiane, donando una certa flessibilità sia pratica sia mentale. Ma c’è un punto che, piano piano, sta tornando in superficie: la distanza, per quanto comoda, costa. E costa nelle relazioni. Le aziende, anche quelle più all’avanguardia, stanno riscoprendo il valore dello stare insieme fisicamente, in carne e ossa, nella stessa stanza. Non perché sia più produttivo in termini assoluti, ma perché le persone hanno bisogno di creare legami. Nella mia esperienza come formatore e manager lo vedo conti- nuamente: quando il team si incontra di persona, qualcosa cambia. Gli sguardi si incrociano, si ride anche solo per una battuta in pausa caffè, ci si capisce con un gesto. Il non verbale è la colla invisibile che tiene insieme i gruppi. E quella colla, su Zoom, semplicemente non c’è.
Questo accade perché abbiamo due modi di comunicare: il verbale, detto anche “digitale”, e il non verbale, chiamato anche “analogico”. Quest’ultima modalità si basa sulla somiglianza diretta tra segnale e significato. L’analogia è immediata, intuitiva. Non ha bisogno di essere interpretata tramite un codice convenzionale: la comprendiamo perché la viviamo. È l’opposto della comunicazione digitale, che invece si basa su simboli arbitrari come le parole. Ad esempio, la parola “vicino” non ha nulla nella sua forma che faccia “sentire” la vicinanza: è solo una sequenza di lettere. Ma se due corpi sono realmente vicini nello spazio, non c’è bisogno di dire nulla: la vicinanza si percepisce. È concreta, tangibile.
In molte comunità indigene del Sud America esistono rituali in cui si masticano foglie di coca per facilitare la comunicazione. Di recente ho partecipato a un webinar con un operatore boliviano che progetta comunità di minori senza famiglia e che attira tantissimi muratori italiani che arrivano lì per aiutare a costruire le strutture. Di solito i muratori vogliono subito mettersi al lavoro, prendere martello e chiodi e partire. Ma i locali li fermano, chiedono loro di sedersi, masticare un po’ di foglie di coca e parlare. E per mezz’ora non si lavora, si sta insieme. Si condivide il senso. Perché prima dell’agire viene il senso dell’essere lì. È un rito antico, ma dice molto anche del nostro mondo aziendale: a forza di correre abbiamo dimenticato perché siamo lì, insieme. I muratori arrivano in Bolivia per costruire degli edifici, ma non sono edifici qualsiasi, fanno parte di un progetto più ampio. Allo stesso modo tornare in ufficio non è solo una questione di orari, ma un modo per ritrovare un’appartenenza.
Anche nella formazione, come nel lavoro, è importante incontrarsi in uno spazio condiviso, in un’aula, affinché la comunicazione non sia filtrata dallo schermo. Le aziende che stanno investendo sulla formazione in presenza lo fanno perché hanno capito che non si tratta di nostalgia, ma di bisogno umano. In un mondo che è sempre più connesso digitalmente rischiamo di essere sconnessi emotivamente. E la leadership vera si gioca anche qui: nel saper creare legami che non si possono spegnere con un click.
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