Spesso frainteso e sottovalutato, il perdono viene associato alla debolezza e alla rimozione del torto subito. Lo si collega a un cedimento, a “lasciar correre”, a giustificare qualcosa che in realtà ci ha fatto del male. Eppure, come dice Dostoevskij, quando perdoniamo non facciamo un favore all’altro, ma a noi stessi, perché il perdono è un gesto che ci dona la libertà interiore e la forza di andare avanti.
In un’epoca in cui le relazioni personali, e quelle professionali, sono sempre più complesse e interdipendenti, parlare di perdono è fondamentale per potere rigenerarsi, senza negare il conflitto. Nel mondo del lavoro sentirsi messi da parte, non riconosciuti, traditi, rientra nel tessuto stesso delle relazioni organizzative.
Quando il CEO di una grande multinazionale mi ha raccontato di aver investito anni nella crescita di un giovane collaboratore, per poi veder vanificati i propri sforzi a causa di una sua decisione avventata, sono rimasto colpito dalla sua reazione. La sua delusione andava ben oltre l’ambito professionale — la perdita di un importante cliente — era personale. Aveva dedicato molto del suo tempo, speso energie, costruito un legame di fiducia.
Eppure, quell’errore era stato commesso, e il danno — pari a decine di migliaia di euro — era reale. A quel punto restavano solo due strade: lasciarsi travolgere dalla frustrazione oppure scegliere consapevolmente di andare oltre, rielaborare la rabbia e trasformarla in apprendimento.
Scegliere il perdono fu la mossa vincente per non restare prigioniero del danno subito e aprire strade di sviluppo. Non licenziò il collaboratore e, un paio d’anni dopo, il ragazzo gli diede grandi soddisfazioni. Inoltre, il perdono fu il modo migliore per evirare che la delusione andasse a intaccare tutto il tessuto dell’organizzazione.
Nonostante, ancor oggi, molte aziende si basino su una visione della giustizia di tipo retributivo (chi sbaglia, paga), si sta capendo sempre di più che questo approccio non funziona. Non è un caso, infatti, che nelle aziende con un alto livello di fiducia e un clima di “forgiveness” si riscontrino i più alti livelli di innovazione, cooperazione e benessere. Quando le persone percepiscono che l’errore non è una colpa da espiare ma un’opportunità da comprendere, il clima si alleggerisce, le relazioni si fanno più autentiche e i conflitti più gestibili. In questi ambienti, la paura viene sostituita dalla responsabilità e le energie si orientano verso la costruzione piuttosto che sulla difesa.
Il perdono si configura quindi come un processo di ristrutturazione cognitiva ed emotiva che spezza il legame psicologico con il dolore e la rabbia accumulati. Questo processo in azienda consente di creare narrazioni differenti e aprire a nuove opportunità.
Come scriveva Lewis B. Smedes: “Perdonare è liberare un prigioniero, e scoprire che quel prigioniero eri tu”. Anche in azienda.
Testo di Diego Ingrassia
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